Oggi voglio parlare di un argomento molto delicato, da molti considerato di secondaria importanza, ma che invece ci aiuta a capire perché sempre meno persone scelgono di lavorare nella ristorazione. Mi riferisco all’alimentazione dello staff.
Sfatiamo subito un mito: chi lavora nella ristorazione non mangia bene.
Immaginate di pranzare alle 11:30 perché già alle 12 si presentano i primi clienti, stranieri o, solitamente, famiglie. La cena spesso coincide con la merenda e tutti alla fine della battaglia, si rifugiano, per fame o per conforto, nel cibo spazzatura. Per non parlare del fatto che spesso il conflitto sala-cucina (paragonabile per antichità e crudeltà a quello tra licans e vampiri), presente in tantissime realtà, trova uno dei suoi punti massima d’espressione proprio quando a mangiare è lo staff. A farne le spese, ovviamente, è il personale di sala, il settore più maltrattato dell’intero comparto. Così può capitare di mangiare le stesse cose per anni, oppure di dividere una pizza in dieci e immaginare cibo come Bruce Williams in Peter Pan durante lo sparecchio. Se aggiungiamo questo ai molti altri aspetti, il risultato è una vita completamente irregolare.
Io appartengo alla vecchia scuola, quella più dura e sottopagata forse ma ciò non mi impedisce di immaginare e trovare, dentro queste difficoltà, l’opportunità per inventare nuove forme di gestione della questione. Per esempio, al di là di una politica turni più umana, orientata verso il compromesso tra le esigenze del lavoro e quella della persona, si potrebbe realizzare un menù settimanale, magari consultando un nutrizionista, oppure si potrebbero realizzare collaborazioni con le attività vicine, indispensabile per una crescita comune, e per dare inoltre ai dipendenti il piacere di scegliere cosa mangiare. Sarò monotono ma fare rete spesso è la soluzione.
Credo fortemente che una sana e corretta alimentazione sia un passo concreto verso il benessere. Prendersi cura dei dipendenti oltre che dei clienti non è il segreto per avere un’attività che funziona. È la base. Un dipendente che vive una vita irregolare, instabile e senza prospettive, vedrà il proprio lavoro come qualcosa di momentaneo. Per i martiri che scelgono di lavorare nella ristorazione, il richiamo di una vita più sana sarà sempre più forte e dopo tutti i soldi, il tempo e le energie sprecate (perché a questo punto di spreco si parla) non sarà privo di un senso di fallimento immenso.
Che senso ha quindi non investire nelle persone? I ristoratori che non si curano del benessere dei propri dipendenti non sono credibili.
Ecco perché in molti si sono ritrovati senza personale. Le persone sono importanti e l’incapacità di capire questo piccolo passaggio sta trasformando uno dei settori più produttivo e a mio avviso bello del nostro Paese in un grande deserto.