Gratinate, al forno, crude, hotategai, scottate, grigliate e chi più ne ha più ne metta. Di che parliamo? Ma delle meravigliose, strepitose, golosissime (almeno per la sottoscritta) Capesante, Cappesante, Cappa Santa o Conchiglie st. Jacques. In qualsiasi modo vogliate scriverle sappiate che non sbaglierete. E sappiate anche che le capesante sono anche l’antenato del picnic, del déjeuner sur l’herbe.
Presenti in gran quantità nel bacino del Mediterraneo e in tutto il Pacifico sono eleganti e versatili in cucina così come nella loro simbologia.
Che la conchiglia abbia sempre accompagnato l’uomo è un dato di fatto. In Asia ed in Africa le Porcellane o Cipreidi, furono la moneta più largamente usata fra due continenti, ben prima che da questa parte del mondo inventassimo le lettere di credito che accompagnavano i tessuti o merci varie nel MedioEvo.
Usata sia come moneta ma anche come gioiello, come oggetto di divinazione, come corredo funerario in centinaia di culture fino a tutto il XX secolo, trasportata a distanze siderali dai luoghi di raccolta, la conchiglia è simbolo di fertilità, di protezione della maternità, di metafora dell’antro segreto della donna. Con la parte arrotondata che assomiglia alla pancia di una donna incinta e le pieghe interne che ricordano le grandi labbra, le Porcellane, in particolar modo, sono sinonimo di procreazione: le donne giapponesi le impugnavano durante il parto e le donne egiziane le cucivano nei loro grembiuli per prevenire l’aborto.
Nel mondo occidentale l’uso simbolico della conchiglia (associata per lo più alla capasanta) oltre ad essere un elemento decorativo formidabile, è associata all’ acqua, alla nascita, alla fertilità e sono certa che l’immagine che vi viene subito alla memoria è la ‘Nascita di Venere’ del Botticelli (1483-1485) che sorge dalle acque, poggiando la delicata ed eterea figura su una conchiglia.
L’origine della nascita di Venere affonda nel mito in cui però non si fa riferimento alcuno alle conchiglie quanto piuttosto alla spuma e come avrete intuito quando si tratta di Mitologia ogni riferimento è quasi sempre sessuale. In Esiodo, (Teogonia 155-200) si narra che Urano di notte scendesse dal Cielo per accoppiarsi con Gea dalla quale nacquero numerosi figli, i Titani; Urano, che non era propriamente dotato di spirito paterno, li sacrificava rinchiudendoli nelle viscere della terra. Gea, stanca di vedere i suoi figli vessati e puniti si mette d’accordo con uno di loro, Crono che evira il padre i cui preziosi ‘gioielli’ finiscono in mare, fecondandolo, e dalla ‘spuma’ sorgerà Afrodite.
Dal IV secolo a.C. in poi la letteratura latina per descrivere la nascita di Venere parla di concha (conchiglia) e sebbene le rappresentazioni scultoree e degli affreschi simulino più il guscio di una cappasanta, molti fanno riferimento all’ ostrica poiché l’ostrica ricorda di più la vagina e perché genera una perla e proprio come la perla, Venere sta al centro della conchiglia.
Questa identificazione della conchiglia con l’idea di una nascita o l’inizio di una nuova tappa è un elemento di grande importanza anche nella tradizione dei Santi, San Rocco ad esempio ma soprattutto San Giacomo (il nome scientifico della capasanta comune allude a questo legame: Pecten jacobaeus).
La ragione esatta del legame della capasanta con il Cammino di Santiago è incerta, probabilmente è semplicemente legata al fatto che fosse molto diffusa in Galizia e che il buon San Giacomo (Santiago) la usasse per benedire coloro che si erano convertiti al cristianesimo e che avessero terminato il lungo cammino per giungere a Compostela; fra le tante interpretazioni una che a me piace molto è la somiglianza del guscio con il piede palmato di un’oca (penso sempre all’ andamento di Guendalina ed Adelina negli Aristogatti) che sottintende dunque l’ inizio di un percorso.
In moltissime lingue, compresi quasi tutti i dialetti regionali italiani la capa o cappasanta viene chiamata pellegrina. Chissà perché!
Il guscio della conchiglia si cuciva alla Cappa (mantello) per simboleggiare le tappe del percorso ma aveva anche molte funzioni pratiche: era usata come contenitore per bere, era la prova per essere esonerati dalle tasse in patria durante il periodo di assenza ed esentati dal pagamento di pedaggi lungo il viaggio di ritorno e, come dicevo all’inizio, era il momento aperitivo in cui il mollusco veniva cotto alla fine del giorno di cammino, mentre si condividevano le esperienze con gli altri pellegrini.
La conchiglia assume molti significati lungo l’arco temporale della storia dell’ umanità, come da simbolo di fertilità, di voluttuosità (pecten che è il nome latino della conchiglia indica anche l’ organo femminile così come la concha in spagnolo), a simbolo di Vanitas: nelle nature morte le conchiglie diventano l’ elemento che rimanda l’uomo a riflettere sulla fragilità della sua esistenza. La loro rappresentazione diventa anche esercizio di stile, di estetica, di decorazione dando vita a produzioni di vetro, ceramica, decorazioni in argento straordinarie o più semplicemente come esposizioni nelle Wunderkammer delle curiosità raccolte in giro per il mondo dalla nobiltà e dell’alta borghesia.
La conchiglia è anche simbolo di conoscenza superiore, esoterica, che apra le porte ad un mondo tanto misterioso quanto portentoso ossia il numero di Dio, racchiuso in una delle conchiglie più straordinarie che la Natura ci abbia regalato: il Nautilus. Ma di questo e dei più prosaicamente deliziosi broccoli romaneschi parleremo la prossima volta.
Le parole viventi sono simili a conchiglie, dentro le quali risuona il vasto mare dell’infinità. (Karl Rahner)